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Se si arriva ‘solo secondi’… di Antonella Carolina Corazza, olimpica a Los Angeles 1984 nel 4 di coppia con timoniere

La prima volta che ho deciso di fare uno sport era per imparare a nuotare, mia madre era terrorizzata dall’acqua e non voleva che questa paura potessi ereditarla anch’io. Il secondo sport l’ho scelto io per confrontarmi con mio fratello che praticava canottaggio ed era bravo, tornava felice e gli piaceva la compagnia del club.

L’inizio è stato facile ero fisicamente dotata e motivata ad imparare il gesto, più per compiacere il mio allenatore e per sfidare mio fratello che per il desiderio di un risultato al quale non aspiravo in quel momento. L’ottenimento di un risultato era la mia motivazione intrinseca, una richiesta personale all’impegno che mettevo negli allenamenti, non ho mai sentito la necessità di soddisfare aspettative esterne o interne al mio club. Erano altre le violenze che ho subito, ma non certo quella del risultato a tutti i costi. Eppure, se sento parlare di finalizzazione dello sport e di obiettivi già dall’inizio della pratica sportiva, mi vengono i brividi. Una giornalista in un notiziario sportivo, parlando di risultati ottenuti dagli atleti del nuoto ai mondiali, elencando le medagli, nominò la medaglia d’oro come obiettivo e risultato prestigioso e la medaglia d’argento come “solo” secondo posto. Questa affermazione “solo” secondo posto mi è risuonata dentro come pugno emotivo allo stomaco, come una violenza verbale dolorosa, simile ad un grido angoscioso. Mi chiedo se questa giornalista conosce i sacrifici che un giovane atleta sostiene per ottenere, attraverso l’allenamento fisico e soprattutto mentale, il risultato per sé stesso ma soprattutto per soddisfare le aspettative dell’allenatore, della famiglia e dei compagni di squadra. Spesso in questo lavoro su di sé per ottenere i risultati, dimentica chi realmente è, quale dei suoi sé appartengano a quella fatica. L’identità dell’atleta, disposto al sacrificio per arrivare all’obiettivo, unico focus, finalizzando la sua vita, il suo tempo libero e il suo impegno ad un risultato, che non sempre è disponibile per lui. L’ansia, lo stress, la difficoltà nello stare concentrato sul fine ultimo dell’allenamento e dell’impegno, il bisogno di approvazione, di consenso e di incoraggiamento, i sensi di colpa nel caso di un allenamento che non ha trovato l’approvazione dell’allenatore o addirittura del genitore, sensi di colpa per un disagio fisico seppur temporaneo ma che rallenta la possibilità di allenarsi e di ottenere la prestazione programmata. In questa epoca di internet e della velocità della notizia, la pressione è ancora più alta e più immediata. Le parole sono importanti e un “solo” secondo posto o “solo” la finale o “solo” il podio, sono delle spugne che cancellano la fatica, il sacrificio e l’impegno di coloro che instancabilmente cercano nel risultato, nella prestazione eccezionale e nell’approvazione dell’allenatore, un posto nel mondo, non solo nello sport. Il supereroe è colui che conquista, che arriva primo, che vince la partita o il biglietto della lotteria, colui o colei che vincono la sfida e si proclamano eccezionalmente unici e che tutti ammirano e nominano sui social. L’era dei “like” per eventi straordinari che limitano l’impegno all’apparire, che bruciano gli eventi in commenti e interpretazioni nascosti da profili fasulli. Attenzione perché’ anche il successo perde importanza e valore e viene cancellato da un altro evento più “appariscente” più d’impatto, anche il “campione” se cade non è più l’eroe, ma un fallito che non ha saputo mantenere il suo posto tra gli Dei. In questa giungla di giudizi e stereotipi i “solo” secondi forse sono i più fortunati, perché nessuno si aspetta da loro il successo, o sei qualcuno subito o non sei nessuno per sempre. Quanta difficoltà nell’affermarsi o nell’ottenere un posto “visibile” in cui anche i “solo” secondi sono degli eroi che raccontano la loro sofferenza e il loro sacrificio per arrivare al fianco degli eroi. Dietro un campione c’è tanto lavoro, c’è la costruzione di un’identità forte, l’allenamento intenso e programmato nel rispetto della crescita personale e della propria autonomia, la ricerca della sicurezza per poter sopportare il sacrificio e la fatica di un obiettivo importante, che sia la regionale o l’olimpiade. Per un atleta di alto livello, la conquista di piccoli obiettivi lo accompagna verso la meta finale, una naturale crescita sportiva che è attesa e ovvia per la squadra e che un commento senza cognizione di causa può vanificare. L’interpretazione della giornalista – a mio avviso – ha sottolineato che, nonostante i tuoi sforzi, non sei in grado di ottenere attenzione e approvazione.

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